Oggi siamo con Dario Viti, nostra carissima conoscenza ed emblema di un viaggio che parte da un sogno e si realizza nel cuore di New York.
Giovane, intraprendente e determinato: un videomaker professionista che, attraverso le sue capacità, ha deciso di raccontare giorno per giorno la quotidianità della Big Apple.
Di seguito i punti salienti di una conversazione che ci ha lasciato tanto e che, ne siamo convinti, potrà essere ispirazione per tanti.
Fare le valigie e partire, lo sappiamo, costa tanto. Riesci a quantificare il costo emotivo di questo tuo viaggio dal sapore di rinascita?
«Il prezzo da pagare è molto caro: lasciare la famiglia, gli amici, non è mai facile. È stato così anche per me: ma il richiamo di un sogno chiamato New York ha avuto la meglio. Quindi ho preparato la valigia e sono partito».
Un viaggio come il tuo può essere una rinascita, rappresentare un’opportunità o essere la rivalsa di una sconfitta?
«Dico sempre questa cosa: quando si parte con l’idea di trasferirsi in una città incredibile come New York, si muore e si rinasce sull’aereo. Arrivi e sei una persona nuova per la città, non sei nessuno. Tutto ciò che hai fatto prima non conta. Vale soltanto ciò che darai ed avrai da offrire. New York è nuove opportunità tutti i giorni: per intercettarle bisogna essere molto determinati. Perché la sconfitta è sempre dietro l’angolo e la competizione è alta e agguerrita»
E se dicessimo Italia? Sarebbe amore o rabbia?
«Entrambe le cose. Amore perché, per me, sarà sempre casa. Rabbia perché per realizzarsi nel campo del videomaking, l’Italia non mi sembra ancora mentalmente pronta e aperta per espressioni e idee nuove che invece, qui a New York, sono accolte con favore e naturalezza».
Dario, insomma, “ce l’hai fatta”! Ma perché proprio New York? Prima di partire all’inseguimento del tuo sogno, ci eri già stato?
«New York è stata la mia quarta parola pronunciata da bambino: in famiglia nessuno ancora si spiega questa cosa. Probabilmente, un segno del destino. Trasferirmi qui era qualcosa che dovevo a me stesso, sapevo e sentivo che questa città mi avrebbe aiutato e mi avrebbe accolto. Sono quelle sensazioni soprannaturali che nessuno sa spiegare, mi sento fatto per questo posto. Sono stato qui 12 volte da turista e non mi sono mai stancato, per me questo è stato un altro segnale che mi ha portato a decidere di trasferirmi qui».
Essere videomaker è differente da “fare il videomaker”. Come distinguiamo le due cose?
«Essere videomaker non è solo tenere una videocamera tra le mani e saper scegliere l’esposizione della luce e l’apertura focale: al contrario vuol dire essere, prima di tutti, dotati di grande creatività. Senza la creatività il video sarà la copia sbiadita di quello girato e montato da un tuo collega più bravo. Per me essere videomaker vuol dire essere creativi. La tecnica si impara ma la creatività o ce l’hai o niente: non si può apprendere»
Puoi dare qualche consiglio a chi vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso professionale?
«Guardare tanti film e studiare i colleghi. Anche leggere aiuta molto: bisogna avere la mente bene allenata, non è solo una questione di tecnica. È un percorso molto difficile: soprattutto nel nostro paese, perché in Italia, spesso, la meritocrazia è un fattore meno rilevante delle conoscenze e degli sponsor. Qui in America hai una possibilità ed è tutto nelle tue mani: se vali vieni ricompensato. Poi, da cosa nasce cosa. L’importante è partire dal basso e non andarsi subito a giocare le carte importanti, soprattutto in una città come NY che è piena di fenomeni».
Come hai organizzato il tuo lavoro nella città dei tuoi sogni e quali sono le differenze principali con l’Italia e la tua Roma.
«In realtà ho molti clienti Italiani, in particolare nella ristorazione, che sono il mio orgoglio. Creo per loro contenuti pubblicitari che poi pubblichiamo sui loro canali social. Sicuramente, fossi stato in Italia, non avrei vissuto una realtà cosi dinamica ed avrei avuto poco da raccontare. Qui ogni giorno è un’avventura che spero non finisca mai. In Italia hai la famiglia e gli amici che ti fanno da scudo ad ogni problema, qui sei solo contro tutti e questa cosa, che inizialmente odiavo, è stata la mia forza. Non c’è una cosa uguale. Roma, la mia cittá, è sempre la stessa da anni: ferma, non si evolve. NY ogni anno cambia volto e la gente va a 3000. Non è facile abituarsi ma quando entri nel suo ritmo, non riesci a farne a meno»
Attraverso i tuoi canali social, in particolare Instagram, racconti quotidianamente New York alla tua estesa community. Insomma: ora sei un video-storyteller?
«Tutto è nato un po’ per caso. Stavo collaborando con Piero Armenti per la preprazione di alcuni suoi video: lui ha cominciato a taggarmi e a mettermi in evidenza nelle sue storie. Le persone incuriosite hanno cominciato a seguirmi e da lì è nato un amore reciproco. Instagram per me rappresenta un ponte immaginario che mi tiene unito all’Italia».
Il tuo amico Piero Armenti: nel tuo percorso professionale quanto ha influito il vostro incontro?
«A livello professionale non tantissimo: i miei clienti e tanti altri mi conoscevano già come Dario il Videomaker. Il nostro incontro, però, mi ha dato conferme e maggiore notorietà. Gli devo tanto e lui lo sa. Ho la fortuna di conoscerlo nel privato. È un Amico, con la A maiuscola: per me non è quello dei social, per me è Piero. Insomma, non mi toccate il Maestro!»
A proposito di Piero, leggerai il suo nuovo romanzo? E dicci la verità: ti piace come scrittore?
«Lo leggerò così come ho letto il primo e anche perché so di essere uno dei protagonisti di questa nuova storia. Non mi ha voluto dire come mi ha descritto, ha detto che ha romanzato. Speriamo bene, ho un po’ paura!»
Da vero cittadino di New York: ci consigli un evento imperdibile?
«Evento imperdibile, più di uno! Penso ad Halloween, con la parata nel West Village, e al Christmas Time: quando la città diventa un villaggio natalizio e la gente è sempre sorridente».
Grazie Dario: ti auguriamo il meglio nella tua fantastica New York e…in bocca al lupo per tutto!