Alessandro Massimilla è uno studente.
Giovanissimo, coltiva con ardore la sua passione per la scrittura e per il giornalismo. Riceviamo e pubblichiamo con piacere la sua intervista a Marco Onnembo. Una bella chiacchierata tra gli scaffali della Libreria Mondadori di Cosenza: un intenso percorso nel profondo di “La prigione di carta”, ultimo libro dello scrittore campano, pubblicato per Sperling & Kupfer.
Il protagonista del suo romanzo evade dalla realtà grazie alla scrittura: anche lei, nei momenti di sconforto, si perde nella fantasia?
«Sì come tutti. Ma ancora di più nei momenti di gioia. Nei momenti di sconforto ho la triste abitudine di rimanere concentrato a sviscerare i problemi fino a quando non sono stati risolti. Per fortuna, mia moglie riesce a riportarmi con i piedi per terra»
Sua moglie, dunque, è la sua Lynette* (* partner del protagonista del libro)?
«È molto meglio di Lynette, mentre io sono molto peggio del Professor King, che è per me un personaggio aspirazionale»
Quindi Lynette si può considerare una sorta di Beatrice dantesca per il Professor King?
«Per il Professor King assolutamente sì, è il centro della sua vita e di tutto ciò che fa: il parallelismo è corretto»
Nella società contemporanea, il digitale ha preso il sopravvento: pensa che la realtà possa trasformarsi nella Brownsville della sua “prigione di carta”?
«Credo che tutto il mondo si trasformerà in una Brownsville della Prigione di Carta: è solo questione di tempo. Al riguardo, sono un po’ pessimista. Io spero che le modalità analogiche e digitali, sia nella trasmissione del sapere che nella trascrizione della scrittura, possano coesistere. Ma dubito che possa succedere»
Del suo libro ho sottolineato la frase “la tecnocrazia ha ucciso il pensiero”. Approfondiamo?
«Provate a chiedere: quanti ragazzi, di età inferiore ai venti anni, leggono libri di carta? Mio figlio, ad esempio: ha undici anni e trascorre molto tempo al pc. Non soltanto per giocare, ma anche per svolgere i compiti scolastici. Se legge un libro cartaceo, perà, resiste non più di trenta minuti. Ciò mi fa riflettere e testimonia che la tecnocrazia ha già vinto»
Altro personaggio del suo libro: Malcom King, uomo di colore, si batte per il diritto inviolabile alla cultura. Nella su costruzione, si è ispirato a Malcom X e al pastore Martin Luther King Jr?
«Sì. È una sintesi dei personaggi che hai citato. Nel Professor King c’è una componente rivoluzionaria e pacifica: mi piaceva l’idea di mettere insieme questi due personaggi, ispirato più dalla forza delle loro idee e della loro causa che dalle loro esistenze»
Un ambasciatore della scrittura tradizionale è Ted Palmer, uno degli studenti del Professor King. Da docente, lei ha mai avuto studenti come Ted?
«Ne ho incontrati tanti: in occasione di ogni mio speech, c’è sempre un Ted Palmer che mi propone ciò che ha scritto»
La mia condanna scrivere. La mia salvezza scrivere. Questa frase del Professor King può essere un’ancora di salvezza per la generazione dei nativi digitali?
«Per me lo è e spero possa esserlo anche per i nativi digitali. La mia è una speranza: la scrittura manuale è importante perché è un importante pezzo della nostra identità, non soltanto una modalità di trasmissione del sapere. Perciò deve essere valorizzata: sempre»