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Digital Transformation: cos’è?

Parlare di digital transformation oggi è “moderno” e “di moda” ma spesso viene fatto un grande errore di fondo. Spesso si fa coincidere la digital transformation con la tecnologia. Un altro errore tipico è quello di associare il concetto di digital strategy soltanto al marketing. 

La digital transformation riguarda soprattutto le persone, le relazioni, i comportamenti e la cultura ed è possibile grazie alla tecnologia e alla trasformazione dei processi in chiave digitale spinta da persone che hanno la volontà di cambiare e ad un’organizzazione che sia pronta al cambiamento.

Il digitale, come possiamo vedere già oggi, ha impatto sulle persone e sulla vita reale. Proprio per questo non ha più senso scindere il digitale dal reale poiché sono un’unica cosa e vanno governati insieme. 

La trasformazione non è altro che un processo innovativo così potente che riscrive regole, cambia altri processi, migliora le relazioni e rende più efficiente un’organizzazione. La trasformazione richiede inoltre del tempo proprio perché è un processo: tempo ed organizzazione, nessun cambiamento avviene in un periodo circoscritto poiché tutto si trasforma in continuazione, basti guardare  ciò che è successo negli ultimi 10 anni: democratizzazione dell’informazione, sviluppo di nuove professioni ed oggi siamo nell’era delle relazioni tra oggetti, dell’intelligenza artificiale che garantirà un continuo miglioramento e semplificazione delle nostre vite e subito dopo trasformerà nel profondo il mondo del lavoro e il lavoro stesso. Quindi stiamo entrando in un nuovo concetto di comunità, di società, che sarà diversa da quella vissuta fino ad oggi. 

Le imprese e la digital transformation 

Le imprese svolgono il ruolo di parte attiva. Le aziende che hanno scelto di dire no alla digital transformation stanno lentamente scomparendo dal mercato. C’è bisogno di coraggio, ovviamente, poiché ci sono implicazioni economiche, organizzative, produttive, umane. Ma è forse meglio attendere ed esser travolti?

I cambiamenti avvengono grazie ad un mix di tecnologie digitali, utilizzo di nuovi modelli che agiscono prima a livello culturale, rivoluzionando comportamenti e pratiche. Gli scenari futuri saranno sempre più concorrenziali e competere vorrà dire connettersi al cambiamento e apprendere continuamente, aumentare le skills che garantiscono comprensione e azione. Si sviluppa così la digital enterprise e con questa la social digital firm, un nuovo modello di impresa basato su digital workplace, knowledge management, smart-working i cui tratti devono essere disegnati e ridisegnati di continuo, secondo un principio di co-progettazione iterativa che è proprio della rivoluzione che stiamo vivendo: senza una data ultima, senza un percorso tracciato e che sia condiviso, senza la volontà profonda al cambiamento, nessuna digital transformation può avere successo e ci si potrebbe ritrovare con gli output classici: avere un qualcosa che di digital ha soltanto l’ego aziendale, le slide da presentare a qualche evento e qualche articolo su giornali nazionali. Ed il tutto si eclissa in poco tempo senza un vero effetto sull’organizzazione, sul business e sull’efficienza. 

Se ti è piaciuto questo argomento la prossima settimana uscirà la seconda parte!

Stay Tuned 

 

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Influenza sociale ed influencer marketing

Nell’uomo è spontanea la tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte ed a distinguere il proprio gruppo di appartenenza da quelli di non-appartenenza

L’influenza sociale è sempre esistita e sempre esisterà. Oggi come oggi, però, ha cambiato pelle e cambiato canali. Ma i brand stanno sempre più utilizzando questa leva per “piazzare” prodotti e “vendere” il proprio nome in community affiatate e targettizate.

Ma cos’è l’influencer marketing?

L’insieme dei soluzioni e delle tecniche per ricercare, individuare e coinvolgere un insieme di individui che generano conversazioni di valore che impattano sulla reputazione di un brand e orientano il processo di acquisto del mercato di riferimento.

Chi è un influencer?

Si può definire influencer chi ha determinate caratteristiche ….



Processo di influencer marketing

Un modello di influencer marketing efficace non può prescindere dalla definizione di obiettivi intorno ai quali costruire l’intero programma di influenza, partendo da attori e contenuti, fino ad arrivare a paid, owned e earned media.

  1. Analizzare il target a cui rivolgere la comunicazione e selezionare i messaggi da divulgare (spesso si coinvolge l’influencer per migliorare il messaggio da comunicare)
  2. Individuazione degli obiettivi: Visibilità del brand, amplificazione di un messaggio,  diventare leader di un settore, reputation, lead generation, incoraggiare l’acquisto (attraverso prove dei prodotti, raccomandazioni etc..), crisis management, employer branding, SEO.
  3. Individuare i KPI per monitorare gli obiettivi (es: traffico sito web, tasso di engagement, % followers/fans, numero pubblicazioni su blog, vendite, sentiment, referral traffic, reach).
  4. Scegliere l’influencer: In generale, gli influencer vanno selezionati con caratteristiche consone al settore di riferimento.  Ciò vuol dire, soprattutto per ciò che riguarda il B2B, che il giusto influencer non è chi ha 10000 follower, ma chi riesce a generare conversazioni o azioni sugli audience targetizzati per il brand. Ovviamente da valutare anche la competenza, la reputazione, capacità relazionale, trasparenza.
  5. Per scegliere l’influencer si utilizza il modello delle 4R

Reach: E’ il numero di fan/follower che ha un influencer

Relevance: E’ concetto che riguarda la relazione tra brand e community dell’influencer.
Resonance: impatto che ha l’influencer sulla sua community
Relationship: Affinità tra brand ed influencer, trasparenza, regole di relazione.


5) Contattare un influencer: tramite email oppure tramite messaggio privato sui social

6) Instaurare una relazione con influencer: coinvolgere l’influencer anche nel processo di miglioramento dell’attività di influencer

7) Misurare l’attività in termini di obiettivi raggiunti e brand reputation: report finale sull’impatto della campagna

Influencer marketing e ROI

Una delle cose più difficili dell’influencer marketing è la misurazione dei risultati. Ma…

  • Il 55% delle attività hanno riportato una qualità di consumatori migliore 
  • Il 70% hanno riportato ricavi raddoppiati per ogni dollaro investito 
  • Il 13% hanno riportato ricavi venti volte maggiori per ogni dollaro investito


Nel 2019, i marketing manager hanno visto un ritorno fino a $ 9,60 per ogni 1 $ speso utilizzando come approccio l’Influencer Marketing

Fonte: What is the ROI of influencer marketing. (Publication). (2019). InstaBrand. 

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Come si analizza la CX e quali sono i modelli

La crisi economica attuale sta portando molte aziende che operano sul segmento consumer a tentare di diminuire i propri livelli di servizio pur rischiando di vedere una riduzione dei livelli di soddisfazione dei propri clienti, abituati ormai a pretendere customer excellence.

Tali comportamenti sono molto rischiosi, soprattutto in mercati con elevata competizione ed il fenomeno è tanto più rischioso quanto più i clienti sono infedeli e più attenti agli acquisti (sensibilità a variabili). In virtù di ciò la necessità delle aziende di instaurare e mantenere la fedeltà del consumatore diviene sempre più centrale ed urgente. Poiché la competitività di un’azienda dipende molto spesso dalla capacità di capire i propri clienti per cercare di creare con essi relazioni di qualità, lo studio della customer experience diviene un importante strumento di indagine per cercare di rilevare e diffondere all’interno della propria organizzazione le opinioni che i clienti hanno dell’azienda stessa, tentando di sfruttare tali informazioni per raggiungere l’obiettivo ultimo: migliorare la percezione che il cliente ha dell’azienda, attraverso il mantenimento ed il potenziamento della loyalty dei propri clienti, soprattutto mediante la comprensione dell’esperienza.

La gestione dell’esperienza ha quindi il compito di tracciare i contatti con i clienti mediante le interazioni nei diversi canali, utilizzare e contestualizzare la conoscenza dei propri clienti, massimizzando il servizio e fornendo così un’esperienza che crei un legame con l’azienda. Per fare ciò è opportuno indagare al meglio su quelli che sono i drivers principali che guidano l’esperienza stessa cercando di comprenderli per poter agire nel migliore dei modi. 

La CX ha multidimensionalità e queste sono dei key drivers che insieme vanno ad influenzare l’esito finale di un’esperienza d’acquisto. In altre parole l’esperienza complessiva assume il ruolo di variabile dipendente il cui risultato è in funzione delle diverse variabili indipendenti, le dimensioni. L’identificazione e la misurazione di quest’ultime è sicuramente fondamentale per il raggiungimento di una customer experience vincente, poiché è proprio dallo studio di esse che si possono capire quali sono gli aspetti che i consumatori ritengono di maggiore importanza. 

Esistono davvero molti modelli di analisi della CX, uno che ben si adatta a differenti situazioni è di Ismail, che nel 2011 concentra il suo studio focalizzandosi sulla qualità percepita e che ben si adatta anche all’online a parer mio: 

  • perceived service quality
  • brand name
  • advertising
  • price
  • employees
  • servicescape
  • core service
  • WOM

Ovviamente, il modello necessita di accorgimenti qualora si volesse applicarlo a business che hanno particolarità, centralità e focalizzazione su elementi rilevanti (pensiamo a business SaaS per esempio). Questo vuol dire che dovremo integrare il modello ed assegnare ad una variabile un maggior peso, ovviamente. 

Nel prossimo articolo dedicato alla CX mi soffermerò su 3 dimensioni rilevanti: brand, prezzo, assortimento e di come queste influenzino la CX. 

Se non l’hai letto recupera qui il primo articolo dedicato alla CX!

customer experience

Cos’è la Customer Experience e perché è così importante?

I termini customer experience e customer experience management hanno ricevuto negli ultimi anni una crescente attenzione sia nella letteratura accademica sia in quella manageriale.

Pur avendo assunto una notevole importanza nel contesto economico attuale, il tema del consumo esperienziale è stato già affrontato e studiato oltre trenta anni fa da ricercatori come Holbrook e Hirschmannche, pionieri in questo campo, ed il cui lavoro viene considerato dalle pubblicazioni contemporanee come il punto di partenza del marketing esperienziale.

customer experience

In una nuova economia come è quella attuale, abbiamo un tipo diverso di output economico, beni e servizi non sono più sufficienti. Le esperienze sono eventi che coinvolgono gli individui in un modo personale e il valore dell’esperienza resta legato nella memoria degli individui coinvolti nell’evento.

Quindi il consumatore non è più un acquirente di beni e servizi ma acquirente di esperienza. La customer experience si origina da un set di interazioni tra il consumatore e un prodotto, un’azienda, una parte dell’organizzazione, che provocano una reazione.

Questa esperienza è strettamente personale e implica un coinvolgimento del consumatore a diversi livelli (razionale, emozionale, sensoriale, fisico e spirituale): chi crea una strategia di marketing deve tenerne presente poiché la risposta interna e soggettiva che i consumatori hanno verso ogni contatto diretto e indiretto con l’azienda. Il contatto diretto in genere si verifica nel corso di acquisti, usi, servizi e solitamente è iniziato dal consumatore. Il contatto indiretto riguarda incontri non programmati con rappresentati dei prodotti, i sevizi o i brand dell’azienda e prendono la forma di raccomandazioni o critiche attraverso passaparola, pubblicità, news report, recensioni etc. in un mondo “digitale” il WOM assume ancora più importanza, così come i micro-moments

Ed è bene sottolineare una cosa: la CX coinvolge tutto il processo di scelta del consumatore, includendo ricerca, acquisto, consumo e post-acquisto. Dal lato del consumatore comprende, pertanto, le sue risposte emotive, affettive, cognitive, sociali e fisiche verso l’impresa, e dal lato dell’azienda riguarda sia elementi che possono essere controllati, come il prezzo, l’offerta, il servizio, il personale, l’atmosfera (se parliamo di retail), il sito web e l’esperienza dello stesso, sia elementi che non sono sotto il suo diretto controllo, come le interazioni del consumatore con gli altri consumatori, le discussioni sul web. 

DOPPELGÄNGER BRAND IMAGE

Doppelgänger brand image

Una situazione di crisi tipica del contesto online è quella della cosiddetta Doppelgänger Brand Image (o DBI).

Il termine Doppelgänger deriva dal tedesco, doppel (doppio) e gänger (che va, che passa), e letteralmente vuol dire “bilocato”. In generale si utilizza il termine per indicare un alter-ego negativo di una persona o di un qualcosa.

Da qualche anno il termine viene utilizzato anche nel contesto del brand management. Infatti, in tale ambito, viene definita doppelgänger brand image (o DBI) la rappresentazione negativa di un marchio commerciale effettuata sotto forma di testo critico e/o immagini caricaturali.

Una prima definizione è stata data da CRAIG J. THOMPSON che ne parla come di una famiglia di immagini e storie denigratorie nei confronti di un brand che circolano nella cultura popolare a partire da un rete organizzata composta da consumatori, attivisti anti-brand e blogger.

Questa rappresentazione negativa del marchio viene infatti creata e diffusa dagli utenti sul web attraverso i social media e rappresenta una critica pubblica all’autenticità e alla genuinità del messaggio promozionale che sostiene un prodotto.

Il fenomeno acquista grande importanza poiché può avere effetti e ricadute negative sulla reputation online, soprattutto nel momento in cui la sua dimensione raggiunge e coinvolge gli opinion leader, i blogger e gli attivisti anti-brand che esercitano un elevato impatto sulle comunità sociali (online). Una DBI ha un impatto sulla percezione di quel brand, che può far sorridere in un primo momento ma poi fa riflettere (un po’ detta alla Pirandello, “l’avvertimento del contrario”).

Perché si creano le DBI? Le motivazioni nascono dalla percezione che quel brand diffonda un messaggio non autentico o che nasconda la natura negativa di un processo produttivo, di un claim o di una campagna pubblicitaria, che sono in contrasto con quella che è la vera natura. L’obiettivo degli attivisti anti-brand, quindi, è proprio quello di convincere i consumatori che il brand non sia simbolo di autenticità; l’effetto è che i consumatori percepiscono i valori aziendali come incongruenti rispetto ai propri valori, nonostante i notevoli sforzi aziendali affinché ciò non si verifichi.

È evidente che tutti quei brand ritenuti “bad” siano maggiormente esposti a questo rischio, ma ultimamente anche le piccole aziende tendono ad esser coinvolte in questo fenomeno.

In uno scenario in cui le informazioni si spostano da un capo all’altro del mondo in pochi istanti, le aziende devono necessariamente fare attenzione alle presunte incongruenze nascoste dietro un messaggio e che portano ad una trasformazione da anti-corporate activism ad anti-brand activism.

Tra gli esempi di doppelgänger brand image c’è quello di Joe Chemo, la raffigurazione della mascotte Joe Camel, che rappresenta gli effetti dannosi del fumo sulla salute umana.

Doppelgänger Brand Image
Doppelgänger brand image di Camel

Un altro esempio è il caso Pepsi in cui gli attivisti hanno trasformato il logo ufficiale del brand sottolineando, anche in questo caso, gli effetti negativi che la bevanda ha sulla salute dell’uomo.

Doppelgänger Brand Image
Doppelgänger brand image della Pepsi


È fondamentale per un’impresa proporre un messaggio che sia coerente con i propri valori aziendali e non solo. È importante che il team di communication (ed eventualmente il reputation manager) sia allineato rispetto a ciò che fa l’azienda anche nel ciclo produttivo.

Spesso è utopia, poiché se l’azienda delocalizza e perde il controllo, anche per il top management sarà difficile vigilare le attività o comunque è difficile sapere cosa accade realmente. È ovviamente necessario essere lungimiranti con il proprio posizionamento e con i messaggi pubblicitari trasmessi che, come nei casi mostrati, possono trasformarsi in veri e propri boomerang ai danni dell’azienda.
Tutto ciò non è sufficiente. Come abbiamo visto, è necessario metter su un monitoring sul web affinché si possa agire tempestivamente, ad esempio nel caso in cui vi sia una violazione della legge da parte degli attivisti oppure per rispondere ad una crisi aziendale sviluppatasi sul web. Più saremo veloci e più la risposta sarà credibile. La velocità della risposta è cruciale tanto quanto la strategia di contenimento e di convincimento della comunità. Chiaramente, esistono alcune tipologie di crisi in cui la velocità può esser controproducente: è credibile dare una risposta ad una crisi sanitaria in poco tempo? Poco credibile. Il contesto in cui si opera è cruciale per prendere le giuste decisioni.